La Spoon River fotografica che racconta la miseria profonda del Paese più ricco del mondo

Oltre 40 milioni di Americani vivono sotto la soglia di povertà, altri 60 milioni vivono talmente vicino a tale soglia che basta un imprevisto per trascinarli nel baratro. Oltre un terzo della popolazione USA.

A questi Americani guarda il libro di RENATA BUSETTINI E MAX FERRERO, coppia torinese di fotografi, da poco uscito in libreria, per i tipi dell’editore Allemandi.

In un plastico e duro bianco e nero, che non lascia spazio a distrazioni, RENATA BUSETTINI E MAX FERRERO danno la prova provata del lato oscuro degli USA, della sua faccia peggiore, quella che a noi europei non piace e che nessun tour operator infatti ci propone.

Loro invece quest’America dello scarto sono andati a cercarla, da fotoreporter di razza, ma con grande sensibilità d’animo, in quattro viaggi in quattro anni: i quattro anni di presidenza Trump.

Hanno vissuto per mesi nelle regioni più impoverite, trascurate ed illuse: dalla cd Rust Belt, gli Stati del nord ovest, che hanno visto la deindustrializzazione e l’abbandono dell’industria mineraria, per una dozzina di  Stati fino alla frontiera col Messico, the Wall, il muro, una “zanzariera”, pervicacemente allungato ed inasprito dal Presidente contro gli odiati messicani.

“Trump è un cancro sulla superficie dell’America”.

Sono le definitive, taglienti parole di Alan Friedman, noto scrittore e giornalista americano de La Stampa di Torino, che ha scritto la prefazione e le introduzioni alle quattro sezioni.

Friedman ci dice come “le fotografie di RENATA BUSETTINI E MAX FERRERO ci restituiscano una perfetta illustrazione visiva dell’America di Trump, così ben eseguita che è quasi straziante”.

Che sono stati capaci di “catturare l’anima di un nazione nella fotografia” al pari di altri grandi fotografi del passato, come Dorothea Lange o Diane Arbus, andando “là, fino in fondo”.

Che il loro è “un ritratto netto e drammatico dello stato desolato di una nazione un tempo grande”.

Risulta difficile dire qualcosa in più delle feroci e dolorose parole di Alan Friedman, ma proverò, scorrendo insieme a voi le quattro sezioni del volume.

RUST BELT

Al di qua delle staccionate o dei balconi dei loro soggetti, RENATA BUSETTINI E MAX FERRERO ci sono, interagiscono, ma senza invadere, e, a poco a poco, le persone si rivelano, a loro e a noi.

Sguardi diretti o persi, che però non riescono a nascondere la trasandatezza, il degrado, l’abbandono della cura personale, l’assenza di speranza, di forza vitale.

In generale, ma soprattutto in questa sezione, non trascuriamo di osservare i secondi piani, i dettagli, a volte sfuggenti, le figure o gli animali in secondo piano, a volte sfocate, a volte dietro un vetro, il gioco del a fuoco/sfocato.

Dal punto di vista tecnico, notiamo il bianco/nero ruvido, con grana, e le impercettibili vignettature che calamitano l’attenzione verso ciò che interessa ai nostri Autori raccontare.

Dal punto di vista narrativo, vogliamo invece sottolineare l’accostamento delle coppie di pagina, assonanti/dissonanti, contrastanti/consonanti, speso ironiche.

Tra queste attraggono la nostra attenzione le pagine 18: il commerciante di origine indiana, discriminato dalla polizia, quasi svanisce nel buio accentuato dal bagliore dei fari della sua auto.

Pag.19: la figura ironica, disegnata in dettaglio, con le sue rughe e la sua barba, che fanno da controcanto alle crepe tra i mattoni della vecchia casa alle sue spalle.

Pag.21: il minatore “cugino” del proprietario della miniera che fa lavorare solo i parenti, sfatto ma “felice”: potrebbe dire diversamente?

Le pagine 24-25: la ragazza che sogna un futuro sulla costa, accanto alla vecchia che non si schioderebbe neppure a cannonate.

Mi attira la forza delle linee orizzontali che “fratturano” l’immagine e le persone.

Mi sgomentano le persone: precarie, sudicie, devastate, scoraggiate, decadenti come le città in cui vivono, emarginate nelle o oltre le periferie, a volte nei canali di scolo, o confinate nelle caravan township.

Il capitolo si chiude con questa foto: 5 sguardi diversi (uno è dietro la porta), verso mondi diversi, il vuoto, l’attesa palpabile dell’ignoto, il disincanto della bimba.

LA CICATRICE

Forse non tutte le persone presenti nelle fotografie di RENATA BUSETTINI E MAX FERRERO stanno soffrendo, magari qualcuno ha trovato un proprio equilibrio, una prassi minima vitale, ma gli occhi o i corpi delle persone riprese che stanno ancora provando atroce sofferenza, quelli ci arrivano alla bocca dello stomaco e ci bloccano il respiro, i loro gemiti inespressi urlano fino a straziarci le orecchie.

Mary Aguilar, Denis Pineda, Martin, Maria del Carmen, Francesco, Maria Angelica, Angela, la famiglia Esteban, Shilah, i bimbi Maria, Pedro, Andrew, non sono nomi a caso, simboli, paradigmi.

Lo sono, anche, ma sono soprattutto persone, incontrate da vicino, con cui i nostri hanno parlato, a volte confortato. Sono messicani e americani accomunati nella stessa storia, nello stesso destino determinato dal volere del suprematismo bianco. Ognuno ha raccontato la sua storia di dolore, di povertà, a volte di miseria, ma con la dignità di chi sa di non doversi vergognare, di avere comunque pari diritti di umanità.

Le tante storie di deportazione, sono cose che dopo il secondo dopoguerra non avremmo mai immaginato di sentire a riguardo di un Paese come gli Stati Uniti d’America.

Le deportazioni, spesso per futili motivi, aumentano la miseria e lo smarrimento delle persone, e solo minimamente l’aiuto delle missioni scalabriniane riesce a lenire la sofferenza.

I volti delle “guardie” di confine, spesso delle stesse etnie, dei Greg, dei Charles Gonzales, o di Elena King e Marcela, ripresi nelle foto di RENATA BUSETTINI E MAX FERRERO, non riescono a celare il loro stesso imbarazzo, direi l’inesplicabilità, del loro ruolo, della loro presenza lì per motivi di “pulizia etnica”.

Tra tutte le storie struggenti, quella che mi pare più emblematica è quella di Denis Pineda, che dopo aver attraversato Honduras, Guatemala e Messico, riesce solo a protendere il naso attraverso un buco del muro sulla spiaggia di Tijuana e a mettere finalmente qualcosa di sé negli USA: solo un sogno, con un brusco risveglio, un supplizio tantalico.

SECONDO EMENDAMENTO

Conoscevo già alcuni scatti di questa sezione, ma vederli tutti e insieme è un botta ancor più forte.

I volti ripresi, dai lineamenti duri e scolpiti, lasciano trasparire animi cinici, violenti, spietati. Maschi o femmine che siano, l’indole è quella. L’amore viscerale, sessuale, per l’oggetto “arma” è talmente palpabile che dalle immagini quasi si percepisce il respiro ansimante del coito.

Per i soggetti delle foto di RENATA BUSETTINI E MAX FERRERO l’arma è una parte di sé, un arto, un prolungamento di se stessi/e, oggetto di deferenza, oggetto di culto, un feticcio da adorare.

Fin da piccolissimi, e da ragazzini, come Lola, 13 anni, nella foto seguente, molti americani crescono in questo brodo primordiale, fermo al primate pre-sapiens, per cui "homo homini lupus".

Perché? Per cosa? Per chi? Sono domande alle quali neppure Alan Friedman riesce a rispondere nella sua introduzione.

Anche le vittime, o i parenti delle vittime delle stragi, sono assuefatte e rassegnate a ciò che è accaduto loro ed ai loro cari, come se si trattasse di fatti ineluttabili, accidentali in senso etimologico, che devono accadere per forza, senza che nessuno ci possa fare nulla.

Non ho mai usato la parola “persona”, per questo paragrafo.

Esseri che adorano le armi in tal modo e le detengono senza averne un motivo professionale o lavorativo, possono essere definite “persone”?

“L’odio non rende l’America più grande” dice un cartello nell’ultima foto della sezione. Ma l’odio è alimentato ogni giorno dal Trumpismo e dal suprematismo che è il suo crogiuolo, e questa campagna non cesserà dopo la caduta di Trump.

IL SOGNO AMERICANO

“Il sogno americano è morto”, afferma sconsolato Friedman, aggiungendo subito però che sia lecito domandarsi se sia mai realmente esistito.

Il quadro socio economico che Friedman traccia nella introduzione a questo capitolo è drammatico, paragonabile, come lui dice, a quelli delle nazioni dell’Africa sub sahariana.

Gli Stati Uniti d’America sono più continenti insieme: c’è la costa Est, la costa Ovest, poi c’è l’immenso continente degli Stati che si attraversano sulla Route 66, dei "corn States" o che si sorvolano in aereo, descritti in molti film, che ci illustrano l’America peggiore, più retriva, più ignorante, più gretta, più chiusa, più diffidente.

Disoccupati cronici; disperati; obesi; poveri o miseri; malati; tutte categorie abbandonate dal welfare; privi dell’assicurazione sanitaria e impossibilitati a curarsi; tossicodipendenti; senzatetto; gente che vive di espedienti o sostenuti dalle charities; etnie emarginate come gli indiani d’America; i reduci; le vittime dell’inquinamento.

Sono solo una parte di quelli che si sono svegliati dal sogno (incubo?) americano, o che dal sogno sono stati sconfitti, o meglio ancora che il sistema sociale ed economico degli USA ha abbandonato ed emarginato ancor più nel quadriennio trumpiano.

Sono le persone fotografate da RENATA BUSETTINI E MAX FERRERO, in questa quarta ed ultima sezione del volume.

Queste persone, nel libro, non guardano mai in camera. Il loro sguardo è volto altrove, forse perso nel vuoto, o semplicemente si vergognano per la loro miseria, per la loro sconfitta, o per essere stati abbandonati.

Arriviamo così alle conclusioni di questa recensione.

Da un primo punto di vista, questo libro non ci racconta una storia, ma ne racconta tante, appunto come una nuova Antologia di Spoon River.

Ognuna con i suoi nomi e cognomi, ognuna con i suoi volti, i suoi sguardi, ognuna coi suoi drammi, ognuna con le sue proprie cicatrici.

Queste fotografie non ci dicono che queste cicatrici sono state create da Trump: esse hanno, infatti, origini lontane, a volte molto lontane.

Questo libro però ci racconta come in questi quattro anni esse si siano approfondite, i drammi esasperati, i dolori e le sofferenza aumentate ed allargate nella popolazione, le illusioni di Trump siano scoppiate come palloncini.

Questo lavoro non fa la storia, ma la racconta: quattro anni in cui un “incantatore di serpenti” ha realizzato uno dei periodi più bui degli Stati Uniti d’America, e forse, secondo Friedman, gettato i semi per grandi problemi per l’Umanità.

In un secondo ordine di conclusioni, posso dire che fin qui, all’ultima foto, il lavoro ci lascia sgomenti, con lo stomaco aggrovigliato, tante domande e lo stupore di scoprire (ma non lo sapevamo già, forse?) un’America che non conoscevamo o che non volevamo vedere: la miseria del (“del”, non “nel”) Paese più ricco al mondo.

Lo sgomento aumenta se proviamo a sostituire tutto ciò che c’è in questo lavoro, con le situazioni e i volti che vediamo in Italia (ed in taluni Paesi europei) nello stesso periodo ed ancora oggi.

Le situazioni sono praticamente sovrapponibili, ed i segnali che le cose, da noi, potrebbero peggiorare, non ci lasciano tranquilli.

Friedman apriva il volume sostenendo che “non siamo l’America che potreste aver pensato che siamo. Siamo molto, molto più brutti, come cultura e come nazione. Abbiamo un lato oscuro che è terribile”.  Lo stesso vale per l’Italia.

Chiude così: “vedremo se (dopo Trump, nda) potremo diventare una nazione meno violenta, meno razzista, meno odiosa, meno divisa”.

Il lavoro di RENATA BUSETTINI E MAX FERRERO si conclude, invece, e per fortuna, con alcuni piccoli segni di speranza, timidi raggi di luce nel buio del trumpismo più cupo.

Associazioni e volontari, che, insieme o individualmente, si fanno carico degli ultimi, ci lasciano con un leggero sollievo, con la speranza che le disincantate dure parole di Friedman siano solo l’umore passeggero di un Americano che detesta, a ragione, Trump e che vive per molto tempo in Europa, in cui gli stati sociali sono ancora effettivi, seppur claudicanti.

RENATA BUSETTINI E MAX FERRERO chiudono con questa immagine, di speranza e faticosa serenità, nel volto di una ragazza, (contrapposto a quello precedente della ragazza col fucile) accanto al suo cartello ricco di valori che guarda con pacata fermezza.

Trump potrà sparire (temo di no), ma il trumpismo resisterà per almeno una generazione, purtroppo, ed il lavoro di RENATA BUSETTINI E MAX FERRERO non cesserà di essere attuale e di farci riflettere.

Se vorremo.

 

Note pratiche

Il volume, cm.30x24, in carta patinata, pagg.128, testo in italiano e in inglese,        al prezzo di soli 20 euro, può essere acquistato da:

https://www.allemandi.com/libro/9788842225263-

Libreria Bardotto – via Giolitti 18A - Torino

Libreria Belgravia – via Vicoforte 14D - Torino

Libreria Bodoni - via carlo Alberto 41 – Torino

Libreria Ubik – via Fratelli Piol 37D – Rivoli (TO)

https://www.amazon.it/America-st-LAmerica-Trump-Trumps/dp/8842225266/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&dchild=1&keywords=america+fi+r+st&qid=1605114478&s=books&sr=1-1

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